Onorevoli Colleghi! - La presente iniziativa legislativa è ispirata in via esclusiva da uno schema redatto da Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sul progetto di legge «per il governo del territorio». Il testo venne successivamente discusso, modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano e Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti del cosiddetto «progetto di legge Lupi» (atto Senato n. 3519, XIV legislatura) che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella presente proposta di legge. Tra questi hanno espresso il loro consenso o formulato proposte di correzione e integrazione Piergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi e Francesco Indovina.
      La presente proposta di legge ha l'ambizione di determinare i «princìpi fondamentali» della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alla efficacia, nonché ai procedimenti decisionali dell'attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell'assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantiscano a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l'eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte,

 

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sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi sia interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come, ad esempio, in merito alla «latitudine» delle facoltà connesse al diritto di proprietà. Già a norma del primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, nel testo entrato in vigore il 1o gennaio 1948, spettava alle regioni emanare, per le «materie» ivi elencate, tra le quali l'«urbanistica», «norme legislative nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni».
      Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle «materie» di competenza (senza attendere l'emanazione di leggi statali enuncianti i «princìpi fondamentali» della disciplina di ognuna di esse) la legge 10 febbraio 1953, n. 62, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi «nei limiti dei princìpi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti» (articolo 9, primo comma, come sostituito dalla legge n. 281 del 1970). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di «princìpi fondamentali», relativamente alla materia denominata «urbanistica», nell'ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.
      Con il tempo, l'accezione del termine costituzionale «urbanistica» è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest'ultimo, la definizione data dall'articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per cui l'«urbanistica» concerne «la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente». L'atto con forza di legge avvicinava il lemma «urbanistica» a quello di «governo del territorio», ancorché esso potesse e può tuttora avere un significato ancora più vasto.
      Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione riportata riconduce nell'ambito dell'«urbanistica», la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancora più dopo l'enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: per esempio sulla difesa del suolo, sulle aree naturali protette, sulle trasformazioni edilizie, sulle espropriazioni di immobili e sulle opere pubbliche.
      Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), iniziarono i tentativi di definire leggi statali innovative, relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica; tentativi che si sono succeduti, fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza, senza successo. Fa eccezione la cosiddetta «legge ponte» n. 765 del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse e si esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge n. 1150 del 1942), e fanno eccezione le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l'obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di impiantistica del territorio e introduceva l'istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).
      La presente proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell'urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i «princìpi fondamentali» della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione
 

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territoriale e urbanistica di cui si è detto all'inizio di questa relazione, per i fini ivi enunciati, seppure sinteticamente.
      Si avverte, infatti, forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare la cultura (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro «equiordinati», ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell'integrità fisica e dell'identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.
      È sufficiente l'enunciazione dei concetti espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente in controtendenza rispetto alla «cultura» (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni '80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di «princìpi fondamentali della legislazione dello Stato» grazie al citato disegno di legge noto, dal nome del suo presentatore, come «legge Lupi», approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica il giorno successivo (atto Senato n. 3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all'impegno di alcuni, pochi, senatori) arenatosi.
      È, per converso, doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale organica nella materia che il terzo comma dell'attuale articolo 117 della Costituzione denomina «governo del territorio». Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura della nozione di «governo del territorio» non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso terzo comma del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto «governo del territorio», tra quelle parimenti di legislazione concorrente quali: protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, materie nelle quali lo Stato ha «legislazione esclusiva», e cioè la «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». Un provvedimento legislativo statale effettivamente «organico» dovrebbe quindi trattare unitariamente tutte le materie che sono state richiamate, dettando solamente «princìpi fondamentali» in quelle «di legislazione concorrente» (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l'intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una «materia-attività». È possibile si riesca a pervenire ad emanare un siffatto provvedimento legislativo statale, nonostante le gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), ma oggi tale possibilità è remota.
      La proposta di legge che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale come, del resto, la medesima «legge Lupi» e gran parte delle leggi regionali che recano, invece, il titolo di «governo del territorio». Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di princìpi che - si ritiene - dovranno ispirare l'insieme degli atti normativi relativi al «governo del territorio».
      Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivi di ogni atto di conservazione e di trasformazione il benessere dei cittadini, il miglioramento
 

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delle condizioni di qualità, sicurezza e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell'architettura e delle infrastrutture. A tale fine gli obiettivi di conservazione, di tutela e di valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell'ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.
      Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio devono, pertanto, essere informate ai seguenti princìpi:

          a) prevalenza dell'interesse generale su quello particolare e dell'interesse pubblico su quello privato;

          b) attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

          c) promozione di un uso del territorio che favorisca l'equità e l'estensione della partecipazione e della democrazia;

          d) consapevolezza del fatto che il territorio è un bene comune e che ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

      Le amministrazioni pubbliche che, ai differenti livelli, concorrono nell'azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

          a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso: 1) l'offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali; 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi; 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

          b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura e dell'identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

          c) affermare il valore imprescindibile dell'unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

      La presente proposta di legge, nel determinare i «princìpi fondamentali» della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente. Tale recepimento non rappresenta un adempimento formale di un obbligo comunitario, ma trova ragione nella profonda adesione allo spirito della direttiva.
      Il recepimento della direttiva è realizzato grazie ad una duplice opera. Sottolineando l'obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, nonché dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all'effettuazione della valutazione degli effetti sull'ambiente.
      È previsto, poi, che gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, recepiti o specificati tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituiscono la «carta unica del territorio», cioè l'unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). La citata direttiva comunitaria si realizza altresì con la previsione per cui i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e

 

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lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).
      Ribadito l'assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede: ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di un organismo decisionale elettivo di primo grado nonché a ricondurre ai suddetti enti territoriali le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia necessariamente affidata ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).
      È il caso di sottolineare (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni - nonché delle province e delle città metropolitane - deve essere operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali. In conseguenza di ciò le regioni ordinarie sarebbero inibite nell'esercizio sostitutivo delle predette competenze pianificatorie rispetto a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi statuti speciali abbiano attribuito ogni determinazione in merito all'ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).
      È inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato il fatto che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, della efficacia, degli archi temporali di riferimento e dei procedimenti di formazione dei predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena sottolineare come venga esplicitata un'accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea con quella presente nei trattati istitutivi dell'Unione europea. In forza di questa accezione, le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell'attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell'efficienza e dell'efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell'ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).
      Quanto all'attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle «linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale» che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 112 del 1998) e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).
      Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità tecnica e politica dell'attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di trasformazione precedentemente attribuita per determinati immobili o complessi di immobili o componenti territoriali, con l'unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).
      In piena coerenza concettuale con l'attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l'istituto degli accordi di
 

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programma, previsto dall'articolo 34 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione di strumento di coordinamento per l'attuazione di interventi che richiedano l'azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).
      Si propone di riconoscere, per la prima volta nell'ordinamento legislativo della Repubblica, quali «diritti dell'uomo»: quelli all'abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché alla proprietà (articolo 4, comma 1).
      La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione), posta come fondamento dell'attribuzione alla legislazione statale del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l'edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2).
      Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti citati, è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).
      La prima e fondamentale disposizione a carattere «sostanziale» della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l'utilizzazione del territorio non urbanizzato, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano, ovvero ampliamenti di quelli esistenti, nuove infrastrutture, ovvero attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale. Perciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che «Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti». Vengono al contempo dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i princìpi fondamentali da rispettare nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano) e quindi assunto come ottimale.
      L'operazione è rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell'articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e di componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici ai sensi del comma 1 dell'articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quella del «territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale».
      La seconda disposizione a carattere «sostanziale» della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni '60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l'istanza posta da uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministro dei beni e delle attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla parte terza del citato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, vengono previsti (ex articolo 8) come beni culturali, per effetto dell'essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni,
 

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delle province delle città metropolitane e delle regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, purché d'intesa con la competente soprintendenza:

          a) gli insediamenti urbani storici e le strutture storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

          b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non comprese nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

      Si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati siano oggetto di disposizioni immediatamente cogenti definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane o delle regioni, d'intesa con la competente soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell'amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.
      La presente proposta di legge ribadisce la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n. 56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n. 179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell'apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).
      La presente proposta di legge si fa carico, altresì, di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999) dell'«alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo» che si pone ove i vincoli «siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati», i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.
      A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, consistente nella fissazione di una «durata massima dell'efficacia del vincolo». Si sostiene invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative devono essere utilizzati solamente per funzioni pubbliche o collettive. Si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell'«espropriazione sostanziale» (assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell'«accessione invertita»).
      È infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. Tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefìci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici esistenti.

 

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      Si stabilisce anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell'acquisizione pubblica dell'insieme degli immobili interessati.
      Nel corso della elaborazione della proposta di legge si è più volte posto l'interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell'ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati, infatti, una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha - ci si è domandati - costruire un sistema di norme garantista dell'interesse collettivo se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l'efficacia?
      Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una «legge di princìpi» norme che rendessero più efficace la repressione dell'abuso e più tassativo l'obbligo di riduzione in pristino.
      Una maggiore efficacia delle norme repressive non è peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario di non modificare le proprie determinazioni. Si è però ritenuto necessario limitarsi, in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introduca, nelle modifiche alla Costituzione, una norma che esplicitamente faccia divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.
 

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